Colombia 2020

Dal 22 febbraio al 16 marzo 2020 km 2’371

Rumichaca Frontiera Ecuador/Colombia – Las Lajas – Ipiales – Laguna de la Cocha – El Puerto – Parque Nacional Santuario de Flora Isola Corota – El Estrecho – Popayán – Silvia – La Estrella – Salento – Valle de Cocora – Filandia – Pereira – Jericó – Fredonia – Amagà – Tres Puerta – Medellín – Piedra del Peñol – Guatapé – Santa Rosa de Osas – Mata Puerco – Cartagena de Indias – Puerto Velero – Baranquilla – Santa Marta – Palomino

 

Siamo alla frontiera di Rumichaca, le pratiche di uscita dell’Ecuador sono veloci, mentre quelle per l’entrata in Colombia hanno richiesto più tempo in quanto mancava il funzionario addetto al rilascio del permesso temporaneo d’importazione dei veicoli. Dopo due ore, siamo in Colombia e il cambiamento è repentino: le case sono piuttosto umili e fatiscenti.
La prima tappa culturale è la visita del Santuario di Las Lajas. Verso la metà del XVIII sec. sembra sia apparsa la Madonna su un’imponente roccia in una valle impervia, 45 metri sopra il fiume. Tra il 1926 e il ‘44, si costruì il Santuario in stile neogotico a cavallo di un ponte. Scendiamo la stradicciola costeggiata da una miriade di bazar che offrono tutti gli stessi prodotti, perlopiù souvenir. È domenica ed il santuario è frequentato da molti pellegrini e turisti. La chiesa è gremita di persone, da far invidia a qualsiasi parroco europeo.
Ripartiamo e ci fermiamo al supermercato Exito della vicina cittadina di Ipiales, lì acquistiamo la polizza assicurativa RC obbligatoria per due mesi (moto Fr. 28.35, Nimbus Fr. 33.35). Da notare che tutti i camper sono equiparati alle auto e quindi anche i pedaggi rientrano nella stessa classe.
Attraverso una strada tortuosa ma panoramica raggiungiamo, all’imbrunire, la Laguna de la Cocha. All’ultimo chilometro però il traffico è bloccato, un bus e un camion sono rimasti impantanati nel parcheggio sterrato. Abbiamo offerto il nostro aiuto ma con un arganello a mano sono riusciti a liberare il bus. Per il camion invece ci penseranno l’indomani. Passiamo la notte nel paesino di El Puerto; i canali che lo attraversano e i ponti pedonali che permettono di passare da una sponda all’altra gli danno un tocco molto pittoresco. Le costruzioni sono molto particolari, fabbricate con un largo impiego del legname della zona e mantenendo una linea uniforme. Accettiamo la proposta di un giro in barca per raggiungere il Parque Nacional Santuario de Flora Isola Corota. Ad attenderci, un piccolo santuario e un sentiero di poco più di 500 m che attraversa l’isola ed è contornato da piante esotiche che, grazie al microclima, possono esprimere la loro bellezza. Al termine del sentiero un bel punto panoramico.
Ripartiamo verso nord sulla strada tortuosa e ci fermiamo a El Estrecho dove i proprietari del ristorante La Cueva de Uribe mettono a disposizione dei viaggiatori il gazebo delle feste con una bellissima vista sul fiume. Volevamo mangiare all’esterno ma un forte vento e la minaccia del temporale ci ha fatto desistere.
Lasciamo il parcheggio del ristorante; la strada continua tortuosa e anche qui i sorpassi azzardati sono un malcostume diffuso con conseguenze anche gravi. La vegetazione è lussureggiante, tipica delle zone molto umide.

In serata arriviamo a Popayán e siamo ancora in tempo per una visita fugace del centro storico, che a quest’ora è una colonna di autovetture. Chiamata anche la città bianca, Popayán è ritenuta la seconda città coloniale più bella dopo Cartagena. Fondata nel 1537, divenne il punto più importante di sosta per il collegamento da Cartagena a Quito. Il suo massimo splendore lo raggiunse nel XVII / XVIII secolo grazie alle coltivazioni di canna da zucchero. Nel 1983 fu scossa da un grave terremoto, il tetto della cattedrale crollò pochi minuti prima della processione del Giovedì Santo uccidendo centinaia di fedeli.
Riprendiamo la strada principale, che fino al bivio per Silvia è più scorrevole. Questa zona è molto piovosa e non ha fatto eccezioni neanche per noi. Silvia è una cittadina di montagna (2500 m.s.l.m.) che costituisce il principale centro della comunità indigena guambia. Tuttavia, la maggior parte dei guambianos vivono nei villaggi di montagna dove praticano l’agricoltura ricorrendo a tecniche arcaiche. Questa popolazione è molto schiva ed è attaccata alla propria identità, lingua e tradizioni. Negli ultimi anni hanno costruito un ospedale e un’università per la loro etnia. Gli uomini indossano il costume tipico, con una gonnellina azzurra con frange rosa e portano una bombetta in testa. Normalmente questa cittadina viene visitata al martedì, quando si svolge uno dei più famosi mercati della Colombia. Noi siamo arrivati di mercoledì, ma ne è valsa comunque la pena.
Lasciamo Silvia e accettiamo l’invito di Anouar di fermarsi per un tè nel loro bellissimo campeggio Bonanza a La Estrella. Anouar e la sua bella famiglia sono originari del Marocco e, dopo aver viaggiato per diversi anni con un camper in Sudamerica, hanno deciso di vivere in Colombia. Oltre ad uno squisito tè ci dà molti consigli e informazioni di viaggio.

Scendiamo la tortuosa strada sino a raggiungere la principale che comunque è tutta a curve. Decidiamo di non andare a Cali e raggiungiamo, nella zona “Cafetera” il villaggio di Salento che con le sue stradine strette, rende particolarmente difficili le svolte agli incroci ai mezzi pesanti. Con un po’ d’ansia e qualche manovra ci infiliamo nel Camping “Guadales Floresta”; il posto è spartano ma in mezzo al verde e ai cavalli. Appena smette la pioggia ci incamminiamo verso il centro che è molto bello e caratteristico ma molto turistico. Sul “mirador” del paese si gode di una bella vista sulla Valle de Cocora e sul villaggio. Il giorno dopo partiamo per un’escursione di tre ore a cavallo, il primo tratto è su una stradina di collegamento dove transitano le jeep Willis con la funzione di taxi collettivo pubblico. Lasciata la stradina il sentiero percorre un bosco con una vegetazione rigogliosa e lussureggiante. Arrivati al fondo valle attraversiamo il fiume parecchie volte e percorriamo anche tratti sul suo letto; fortunatamente non c’è troppa acqua ma abbastanza per bagnarci i piedi. È stato bello, ne valeva la pena ma per noi tre ore a cavallo senza essere abituati sono più che sufficienti.
Un’altra giornata la dedichiamo alla Valle de Cocora. Con la moto partiamo verso le nove, la strada è in buone condizioni, arrivati al capolinea parcheggiamo e ci avviamo sul sentiero che porta alla finca de la Montagna. Rinunciamo a fare il giro di 12 km per la stanchezza che ancora ci affligge dalla cavalcata di ieri e per il rischio di pioggia. Il sentiero si staglia tra prati di un verde intenso, punteggiato dalle “Palme de Cera” che, con i loro sessanta metri d’altezza sono le più alte al mondo. Di domenica questo luogo pullula di gente. Il sentiero raggiunge il primo punto panoramico che offre una vista mozzafiato sulla valle contornata dalle palme. Da lì s’inserisce in una strada di montagna che porta alla capanna, il resto del cammino non offre granché. Arrivati in cima scopriamo che la capanna è chiusa e neanche possiamo sederci a bere qualcosa, sembra una casa privata.

Lasciamo Salento per raggiungere la vicina Filandia; il paesino è molto simile ma molto meno turistico. In centro ci rechiamo in un’agenzia per organizzare una visita alle piantagioni di caffè. Anche se siamo solo in due possiamo partire subito per il Coffee Tour alla finca NATIVA con Juan David come guida. Si parte, dopo quindici minuti sulla Jeep che ci lascia alla piccola azienda dove lavorano solitamente tre persone, iniziamo una passeggiata di un paio d’ore, accompagnati da un cagnolino e un cucciolo. Juan David ci spiega che la raccolta del caffè avviene due volte all’anno, verso ottobre e maggio. Più volte le piante sono alleggerite dai chicchi avariati. Il caffè colombiano è tutto del tipo arabica e secondo la nostra guida è uno dei migliori al mondo. Ritornati nell’ufficio di Salento, Juan David ci prepara un caffè filtrato, dice che è il miglior sistema per valutarne la qualità. Con 8 gr di caffè per persona e l’acqua a 90°, innaffia prima il filtro e poi ci mette il caffè e inizia a versare lentamente l’acqua. Noi però siamo abituati al caffè all’italiana, ben più forte, e non apprezziamo il gusto così leggero anche se è pur vero che si esprimono aromi che nel caffè espresso sono coperti. Soddisfatti del tour, organizziamo per il giorno seguente, con la stessa agenzia, la visita nella foresta dove ci sono le scimmie urlatrici.
Alle 8.30, come stabilito, siamo al tour operator per il giro nella selva ma purtroppo l’ufficio è chiuso, abbiamo mandato messaggi e telefonato ma senza ottenere risposta! Stabiliamo un giro con un’altra ditta. La passeggiata nella foresta tropicale ci offre la possibilità di vedere un solo nucleo di scimmie però ad una distanza abbastanza ravvicinata.
A fine mattinata siamo di ritorno e con molto piacere rivediamo i nostri amici Loriane e Thomas, viaggiatori francesi conosciuti in Perù, che sono venuti a trovarci. Dopo un aperitivo nel camper andiamo al ristorante José Fernando, conosciuto dai ragazzi e di ottima qualità.

Ci avviamo in direzione nord e approfittiamo per fermarci nella periferia di Pereira per approvvigionarci dell’AdBlue. Continuiamo il nostro viaggio sulla cordigliera che è spesso interrotto per la presenza di enormi cantieri, con attese di oltre mezz’ora. Ci fermiamo che ormai è già buio sul parcheggio di un ristorante, il traffico non cessa neanche durante la notte e alle tre, la guardia notturna accende la radio ad alto volume fino alle 6 del mattino. Non sempre si possono dormire sonni tranquilli!
Raggiungiamo Jericó percorrendo una strada molto tortuosa e con parecchi rami bassi, fortunatamente non grossi ma che danno numerose capocciate al povero Nimbus. Ci sistemiamo sul punto panoramico della cittadina dove troneggia la statua di Cristo. Oggi è giorno di bucato e questo ci sembra il posto perfetto per farlo! Dopo aver steso i panni riceviamo la visita della polizia che, scusandosi, ci dice che da quando la cittadina fa parte dell’Unesco è proibito esporre il bucato e che questa regola vale anche per noi. Ci dicono però che può finire di asciugare. Nel pomeriggio scendiamo in centro passando dal meraviglioso parco botanico. La cittadina è molto bella e le case colorate in stile “cafetero” sono ben tenute. Visitiamo pure il museo della musica che espone 145 strumenti provenienti da tutto il mondo, donati da Alvaro Arango Gaviria che purtroppo morì di cancro una decina di giorni prima che fosse inaugurata l’esposizione permanente. Nel paese regna una certa energia positiva che ci invita ad un aperitivo per goderci la tranquillità della gente e la bellezza della piazza. In Colombia l’aperitivo classico serale è a base di caffè.
Facciamo conoscenza con Juan Fernando di Medellín: oggi è il suo compleanno e per festeggiare sì lancerà con il parapendio. Ci dice che la strada principale verso nord è bloccata per lavori e apre solo dopo le 15h00, per questo motivo ci consiglia di passare attraverso Fredonia-Amargà. Inoltre, si offre di farci da guida per attraversare la città di Medellín.
Seguiamo i suoi consigli, la strada si rivela molto lenta, tortuosa e con rami bassi. Oltretutto a Fredonia vi sono dei lavori in corso e degli autisti di bus ci consigliano d’imboccare una strada con un “divieto d’accesso” in quanto ritengono che il Nimbus non riuscirebbe a passare dalla deviazione segnalata. Naturalmente, nella stradicciola causiamo un caos incredibile con il traffico in senso inverso. La strada pur passando nella zona “cafetera”, non è interessante dal lato panoramico. Ad Amagà imbocchiamo la strada principale per Medellín che però è tutta un cantiere. Perdiamo molto tempo fermi. Arriviamo in periferia di Medellín, fortunatamente per noi, l’allerta smog ha imposto delle severe restrizioni di circolazione in tutta la città, e quindi riusciamo ad attraversarla da soli e abbastanza velocemente. Quando imbocchiamo la strada per Sta Elena tiriamo un sospiro… ma pochi chilometri dopo il traffico è bloccato per una manifestazione di quartiere; la protesta è per le continue interruzioni di erogazione dell’acqua. Ben un’ora e mezzo di attesa e così, con il buio, saliamo la collina che ci regala una bellissima vista sulla città illuminata. Ci fermiamo per trascorrere la notte in uno spiazzo davanti ad un cancello. Il giorno seguente arriviamo a Tres Puerta, un paesino sulla montagna che contorna Medellín dov’è ubicato il campeggio del Bosque.

Per raggiungere il centro di Medellín prendiamo dapprima un taxi collettivo e poi il “Metro Cable” (cabinovia) dal quale si gode di una bella vista sulla città, peccato che c’è parecchia foschia. Di seguito prendiamo la metropolitana di superficie. Constatare l’efficienza dei trasporti pubblici di questa metropoli ci fa sorgere il dubbio che la Svizzera abbia perso il treno. Medellín conta più di 3 mio di abitanti ed è ubicata ad un’altezza di 1500 m s.l.m. gode di un clima di eterna primavera. Situata in una stretta vallata e contornata da alte cime frastagliate, dopo la scomparsa di Pablo Escobar nel 1984, piano piano anche la sua reputazione e sicurezza è migliorata. Visitiamo il Palazzo della cultura, un imponente edificio bianco e nero e la bella Plazoleta de las Escolturas dove sono esposte le numerose opere d’arte di Fernando Botero.
L’epidemia di COVID-19 che ha colpito il nord Italia ci dà da pensare e ha reso la nostra trasferta sui mezzi pubblici poco piacevole. Decidiamo quindi di non visitare ulteriormente questa città che, in tempi normali, meriterebbe perlomeno un paio di giorni in più.

Lasciamo il campeggio e ci dirigiamo verso est. Ci fermiamo alla Piedra del Peñol, una gigantesca collina monolitica di granito alta ben 200 metri con una scala in mattoni di 675 gradini inserita nella fenditura. Dalla cima si gode di un’ottima vista sul lago artificiale formato dalla diga Guatapé, oggi però c’è un po’ di foschia e il livello dell’acqua è molto basso; infatti, l’altezza del lago è stata abbassata per permettere dei lavori di manutenzione alle prese d’acqua della centrale idroelettrica. Il livello così basso guasta un po’ il paesaggio.
Guatapé è una gradevole cittadina turistica, le sue viuzze con le case tipiche e coloratissime, sono particolari per i loro numerosi edifici con i muri decorati con dei bassorilievi che raffigurano scene mitologiche e di vita quotidiana.

Da Guatapé fino a Cartagena vi sono poco più di 700 chilometri e, visto che non abbiamo troppo tempo a disposizione e non vi sono particolari attrazioni lungo il cammino, decidiamo di farli “tutto d’un fiato”. Per riprendere la strada verso nord passiamo nuovamente alle porte di Medellín e guidiamo fino all’imbrunire. Trascorriamo la notte in un’area di parcheggio per camion a Santa Rosa de Osas, conosciuta per i prodotti caseari. Il giorno seguente incominciamo la discesa (tutta la strada percorsa in Colombia fino ad ora si trovava ad un’altezza tra i 1000 e i 2900 m.s.l.m.). Raggiunto il fondo valle, a 60 m s.l.m., la strada scorre lungo il fiume al cui lato si vedono numerosi “lavadora de camion”. Più avanti vediamo un cartello stradale con l’indicazione di Cartagena, quindi lasciamo la 25 e imbocchiamo la 23 in direzione Monteria. Questo tratto di strada è appena stato rifatto e vi è pochissimo traffico. Dopo 35 chilometri un altro cartello ci indica la svolta su una strada nuovissima, dopo altri trenta chilometri arriviamo nei pressi di Cerete e non vi sono più indicazioni stradali. Chiediamo informazioni ad un camionista che ci dice che la strada per Cartagena non è ancora terminata e che i cartelli con le indicazioni andrebbero coperti; sono molti gli autisti che li seguono … noi compresi! Un giro dell’oca poco interessante….

A fine pomeriggio arriviamo nelle vicinanze di Cartagena ma non vogliamo entrare in città a quest’ora sia a causa del traffico sia per non farci cogliere dal buio. A Mata Puerco scorgiamo un ampio spiazzo con dei camion, entriamo e chiediamo se possiamo rimanere per la notte. Molto gentilmente, Andrés, il responsabile della ditta di trasporti, ci dice che non ci sono problemi. Dopo qualche chiacchiera con lui vediamo Laura e John che stanno facendo fare degli esercizi al loro pappagallo perché impari a volare. Rebecca ha circa due mesi e inizia appena a volare ma ancora non mangia da sola. Come l’anno scorso, il caso vuole che anche quest’anno Renato riceve come regalo di compleanno una “rotazione degli pneumatici” e quindi approfittiamo dell’officina della ditta di trasporto. Andrés ci dà indicazioni su come raggiungere Cartagena facendo qualche chilometro in più (38!) ma evitando il traffico e le strade strette della città.

Arriviamo senza problemi al parcheggio “La Marina” situato alle porte delle mura. Usciamo per passeggiare nel centro storico di Cartagena de Indias, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Il centro storico è racchiuso in un perimetro murario lungo 13 chilometri: un dedalo di stradine strette e tipiche con delle belle vie costeggiate da palazzi coloniali mantenuti in ottimo stato e ben colorati. Le case sfoggiano dei magnifici balconi con prosperose buganvillee fiorite. Dopo un aperitivo festeggiamo il compleanno di Renato al Ristorante Ceviceria El Bolice.

Il coronavirus comincia a circolare anche in America latina, andiamo in una farmacia per acquistare delle mascherine … ma sono esaurite. Vista la situazione, decidiamo di andare in zone più discoste. Ci dirigiamo quindi verso nord, e raggiungiamo la spiaggia di Puerto Velero, una bellissima baia con un mare calmo e parecchio vento che la rende perfetta per il kit-surf. L’acqua però è un po’ torbida.

È il 16 di marzo, a causa del coronavirus molti paesi sudamericani stanno chiudendo le frontiere, altri hanno introdotto il divieto di circolazione. Tra i viaggiatori c’è una corsa per sistemarsi in un buon campeggio in cui passare eventualmente qualche settimana, e noi non facciamo eccezione.

Lasciamo la bella baia, giriamo intorno a Baranquilla fermandoci in un supermercato sulla strada per fare un po’ di scorte per un eventuale “lockdown”. Attraversiamo Santa Marta che meriterebbe una visita, ma visto che oggi hanno già iniziato a chiudere i Parchi Nazionali, preferiamo raggiungere immediatamente Palomino, dove ci sistemiamo nel Camping Bernabé, situato tre chilometri prima del villaggio. Il campeggio è spartano ma si trova in una posizione idilliaca: fronte-mare e immerso in una piantagione di cocco. Ci accolgono Ilsi con il figlio Juan David e la sorellina che si chiama Ilsi pure lei e due coppie di viaggiatori europei. La mattina seguente ci rechiamo in paese con la moto. La stradina sterrata che porta al mare è piacevole e percorsa da numerosi turisti. Una cittadina adatta ai Backpackers ma un po’ troppo da giovani per noi. Ritornati al campeggio troviamo il cancello chiuso: la regione ha decretato il lockdown e da oggi in avanti le infrastrutture turistiche non possono più accogliere nuovi ospiti … e così ce l’abbiamo fatta per il rotto della cuffia a raggiungere un luogo adatto per una lunga permanenza.