Namibia 2018

Seconda parte: dal 9 gennaio al’11 febbraio 2018. Km 3’543

Swakopmund – Moonlandscape e Welwitschia Drive –  Walvis Bay – Sandwich Harbour – Gobabeb – Kuiseb Canyon – Gamsberg Pass – Windhoek – Spreetshoogte Pass – Solitaire – Sesriem e Sossusvlei – Naukluft Mountain National Park – Garub Wilde Horses – Lüderitz – Kolmanskop Ghost Town – Aus – Orange River – Fish River Canyon – Naute Dam – Keetmanshoop – Frontiera Namibia/Sudafrica Mata-Mata (Kgalagadi Transfrontier National Park)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Swakopmund – Moonlandscape e Welwitschia Drive
Riprendiamo la strada salina della Skeleton Coast, denominata salina poiché il fondo stradale sembra asfalto, ma in realtà è costituito da una miscela di gesso amalgamato con sabbia o ghiaietto e acqua salata, il tutto cotto al sole. Questo composto è incredibilmente liscio e in effetti, sembra una strada perfettamente asfaltata che però quando piove diventa assai scivolosa.
La Skeleton Coast deve il suo nome al grande numero di vascelli che affondarono nei tempi passati: le sue coste sono flagellate di  forti venti, nebbie e tempeste di sabbia; l’impressione che si percepisce è di solitudine e l’atmosfera selvaggia infonde una certa irrequietezza.
Arriviamo a Swakopmund, come prima cosa ci rechiamo nell’officina di riparazioni West Coast 4×4, di cui molti viaggiatori parlano molto bene. I due ragazzi ci fanno una buona impressione e ci dicono che l’indomani mattina possono fissare il serbatoio del diesel in modo permanente. Swakopmund sembra una città irreale, stretta tra le dune del deserto del Namib e le onde dell’oceano Atlantico, con un fascino d’era coloniale. La sua architettura di case in muratura con travi in legno è di chiaro stampo germanico. Anche i suoi abitanti sono per la maggior parte namibiani di origine tedesca.
Ci rende visita Helmut con la sua famiglia, fratello della nostra amica Jutta. Guarda caso girovagando per la cittadina incontriamo anche i nostri amici Mandy e Ottavio, residenti a Windhoek e già incontrati in Angola; anche loro qui per qualche giorno di vacanza.
Visitiamo l’interessante museo e la Kristall Galerie, dove si può ammirare il cristallo esposto più grande al mondo che pesa come il nostro Nimbus.
Lasciata la città ci inoltriamo nell’entroterra per visitare il paesaggio lunare di questa zona desertica all’interno del Namib-Naukluft NP. Percorriamo il Welwitschia Drive, così chiamato per la numerosa presenza delle omonime piante; si ritiene che quella da noi fotografata abbia circa 1500 anni.

Walvis Bay – Sandwich Harbour
Riprendiamo la strada che percorre la Skeleton Coast per recarci a Walvis Bay, le dune che precedono la cittadina che ospita il più grande porto della Namibia, sono sfruttate come piattaforma di lancio per i parapendisti.
Oltre al porto, Walvis Bay è notoriamente conosciuta per la bellezza della sua laguna e per la salina che occupa una grande superficie della penisola.
I turisti che si recano a Walvis non possono mancare di visitare anche Sandwich Harbor, dove il deserto incontra l’oceano. Dopo aver appurato che il nostro Nimbus sarebbe troppo pesante per arrivarci, ci siamo accordati con una guida locale che ci ha portato con il suo fuoristrada Nissan Patrol. Il viaggio è bello e a tratti a bordo mare. Arrivati alla laguna, saliamo sulla duna alta una settantina di metri. Una faticaccia! La vista è stupenda ma purtroppo il cielo grigio spegne i colori. Al ritorno, John ci delizia con un su e giù dalle dune e stana un Geco che ha un corpo semi-trasparente.

Gobabeb – Kuiseb Canyon – Gamsberg Pass – Windhoek
Prima di lasciare la cittadina chiediamo il permesso per entrare nel Gobabeb, situato sempre nel Nabib Naukluft Park. Fino al centro di ricerca la pista è in buone condizioni ma in seguito sembra d’essere su una lamiera ondulata. Gli scenari alleviano in parte le sofferenze.
Proseguiamo e arriviamo al bellissimo Kuiseb Canyon che è solcato dall’omonimo fiume, il quale si riempie di acqua soltanto per due o tre settimane all’anno. In questo Canyon, i due giovani geologi tedeschi, Henno Martin e Hermann Korn, si nascosero per quasi tre anni durante la seconda guerra mondiale, quando le milizie inglesi del Sudafrica attaccarono le truppe tedesche della Namibia, allora chiamata Africa occidentale tedesca. Nel 1940, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il governo sudafricano, iniziò a internare i cittadini di origine tedesca nei campi di concentramento. Martin e Korn, contrari alla guerra, non avevano intenzione di farsi internare né di prender parte in quello che essi definivano un “suicidio di massa di popolazioni civilizzate. Erano quindi, come Martin scrive, “determinati a mantenere la nostra neutralità e a difendere la nostra indipendenza per quanto in nostro potere”. Una notte, seduti sui gradini di casa, ricordarono le parole che, per gioco, si dissero tempo prima: “se la guerra verrà, la passeremo nel deserto!”. Affascinati dall’idea iniziarono immediatamente i preparativi per vivere nel deserto fino alla fine degli eventi bellici. Non potendolo abbandonare, decisero di portare con loro anche il cane Otto.
Valichiamo il Gamsberg Pass da dove si gode una bella vista e dove si trova un osservatorio di una fondazione tedesca. In queste zone, non c’è alcun inquinamento luminoso, e la via lattea, chiaramente visibile, ci regala momenti indimenticabili.
Con una deviazione d’itinerario puntiamo su Windhoek per incontrare la nostra cara amica Jutta che, dal Malawi, si è recata nella capitale namibiana per una visita alla famiglia.

Spreetshoogte Pass – Solitaire

Riprendiamo il nostro viaggio verso il Spreetshoogte Pass, da dove si gode una vista stupenda sull’altipiano. La discesa con il 33% di pendenza è piuttosto impegnativa per il nostro Nimbus, non vogliamo pensare cosa potrebbe succedere in caso di fondo stradale innevato… ma siamo in Africa! In effetti, quel tratto di strada non era percorribile con il camion…
Solitaire è un must, non solo per i viaggiatori: le lunghe distanze tra un abitato e l’altro lo rendono una tappa d’obbligo per il rifornimento di carburante per i mezzi che non hanno un serbatoio capiente ma anche per gustare il famoso strudel di mele.

Sesriem e Sossusvlei
Sossusvlei è una delle attrazioni principali della Namibia. Con le sue magnifiche dune attira numerosi visitatori. Per raggiungere questo luogo bisogna percorrere 65 km nel parco che è accessibile solamente dall’alba al tramonto: per cui i visitatori pernottano a Sesriem.
Sesriem non offre solo ospitalità ma anche un Canyon che vale la pena di visitare: è lungo ca. 1 km ed è profondo una trentina di metri.
Levataccia e partenza alle 05.30 per vivere l’alba dalla duna n° 45 (significa che si trova al 45esimo chilometro). Dopo aver scalato i 150 m di dislivello, la fatica è ripagata dalle magnifiche luci e ombre e dalle variazioni di color rossastro della sabbia. Torniamo sul Nimbus e percorriamo gli altri 15 km sulla strada fino ad arrivare al parcheggio per gli autoveicoli 2WD. Gli ultimi quattro chilometri sono percorribili solo con vetture 4×4 (vietato ai camion e ai bus). Facciamo colazione e poi prendiamo la navetta che ci porta a Sossusvlei. Sono le 10h30 e, anche se è tardi e tutti stanno ritornando, decidiamo di scalare la duna Big Daddy. La temperatura non è troppo elevata, e un bel venticello ci accompagna. Attraversiamo così il “lago bianco” e dopo una ventina di minuti iniziamo la salita vera e propria. Copriamo il dislivello di 230 m e poi ci gustiamo il pic-nic con la vista sulle cime delle altre dune. La discesa è veloce e divertente e ci porta dritti dritti alla Dead Vlei che attraversiamo facendo tanti scatti fotografici. Arriviamo al parcheggio con la navetta e decidiamo di passare lì qualche ora. Si avvicina un bellissimo esemplare di orice femmina, probabilmente attratta dal gocciolio dell’acqua di scarico del nostro lavandino. Proviamo a riempire la ciotola utilizzata per dissetare gli uccellini e a metterla a pochi metri dal Nimbus. Lei si avvicina, beve e poi le dà una zoccolata. Quando si allontana, Renato va a prendere la ciotola, la riempie e la riposiziona. L’orice ritorna e beve nuovamente, appena finito, si allontana di qualche metro … e la cosa va avanti per una decina di volte! Rientrati a Sesriem si accosta un furgoncino VW rosso: sono Karin e Beni (beniundkarininafrika.blogspot.com), due giovani grigionesi a zonzo in Africa per qualche mese. Renato prepara un buon risottino per tutti e passiamo una bella serata.
Quando ritorniamo per la seconda volta a Sossusvlei, l’obiettivo è il percorso di Hidden Vlei. Al nostro ritorno chi ritroviamo ad aspettarci? L’orice non ha dimenticato la bella bevuta che ha fatto con noi, e il rito si ripete.

Naukluft Mountain National Park
Lasciamo Sesriem e, dopo qualche chilometro, ci colpisce la stravaganza del Mirage Lodge che ha le sembianze di un castello. Ci fermiamo alla casa vinicola di Neuras, dove non ci lasciamo sfuggire la degustazione di quattro vini rossi accompagnati da un bel piatto di formaggi, frutta secca e noci varie. In questa sede si svolge pure un progetto di ricerca sui ghepardi sponsorizzato dalla stessa Neuras.
Raggiungiamo il Naukluft Mountain NP e partiamo per il percorso ad anello di 10 km chiamato Olive Trail per la presenza di numerosi ulivi selvatici che crescono ai bordi del sentiero. Dopo una ripida salita sull’altopiano si scende lungo una stretta valle fluviale che diventa sempre più profonda e più ripida. A un certo punto, con l’ausilio delle catene fissate alla roccia, si deve attraversare la parete di un canyon. Sul letto asciutto del fiume si trovano dei sassi striati che sembrano quadri dipinti da un mastro pittore. Dopo aver terminato il percorso in oltre cinque ore, ci tuffiamo nelle pozze per un po’ di refrigerio.

Garub Wilde Horses – Lüderitz – Kolmanskop Ghost Town – Aus
Le origini dei cavalli selvaggi del deserto sono ancora sconosciute ma la teoria più probabile è quella che sarebbero i discendenti degli animali in forza alla Schutztruppe abbandonati dai tedeschi in ritirata durante l’invasione del Sudafrica nel 1915. Dal 2015 però, a causa della perenne siccità, sono foraggiati un paio di volte la settimana, ed è stata costruita una pozza artificiale di acqua.
Dopo aver ammirato i cavalli, struzzi e orici, percorriamo verso ovest i cento chilometri nel deserto del Namib meridionale che è molto diverso dalle pianure di ghiaia del nord. Il paesaggio è surreale: una striscia nera e diritta d’asfalto, una parallela con i binari della ferrovia e le basse catene montuose dell’Awasib e dell’Uri-Hauchab, le cui sagome color pastello spuntano dalle pianure tra una nebbiolina di sabbia e polvere portate dal vento. A dieci chilometri da Lüderitz, il vento si fa più forte e, infatti, degli operai stanno lavorando per ripulire la strada dai mucchi di sabbia.
La cittadina di Lüderitz è incuneata tra lo spoglio deserto del Namib e la costa dell’Atlantico meridionale, spazzata dai venti. Si dice infatti che il vento viene fabbricato qui! Fu fondata ufficialmente nel 1908 dopo la scoperta dei diamanti nello Sperrgebiet e prosperò rapidamente grazie al commercio delle gemme. L’architettura coloniale di stile imperiale tedesco e di art nouveau, rende l’atmosfera di questa bizzarra cittadina ancora più surreale.
Saliamo sulla Diamond Hill e visitiamo la Goerke Haus: quando fu costruita, nel 1910, era una delle residenze più stravaganti della città. Sempre sulla stessa collina, grazie alle donazioni private provenienti dalla Germania, sorge l’imponente chiesa evangelica luterana Felsenkirche.
Ci spostiamo quindi sulla penisola e visitiamo le diverse calette; con il cannocchiale vediamo sull’isola di Halifax la più celebre colonia di pinguini africani della Namibia. Raggiungiamo Diaz Point, luogo dove Bartolomeo Diaz nel 1488 di ritorno dal Capo di buona speranza eresse una croce. Da qui si gode anche la vista della colonia di otarie. Terminiamo il giro della penisola a Griffith Bay che offre una bella vista su Lüderitz.
Eccoci alla città fantasma di Kolmanshop. La cittadina fu costruita come quartier generale delle Consolidated Diamont Mines, e in pochi anni furono costruiti un casinò, una pista da bowling e un teatro con un’ottima acustica, impianto di lavaggio, case e tutto quanto serve in una cittadina; tutta la moderna tecnologia di quei tempi, li la potevi trovare. I circa 800 indigeni ingaggiati le studiavano tutte per trafugare i diamanti. Le maestranze evidentemente erano molto attente, chi li nascondeva negli scarponi, chi li legava ai piccioni viaggiatori, chi li ingoiava prima di lasciare la ditta a fine contratto e tant’altro. Tant’è vero che gli operai dovevano firmare un contratto di due anni che impediva loro di lasciare il perimetro aziendale: prima d’uscire gli veniva somministrata una forte purga e dovevano sottostare ad una quarantena. Il crollo delle vendite dei diamanti dopo la prima guerra mondiale e la scoperta di giacimenti più ricchi più a sud posero fine a questo periodo di splendore. Nel 1956 la città era completamente deserta e abbandonata alla mercé delle sabbie del deserto.
Purtroppo la macchina fotografica sguscia fuori dalla custodia, cade e si rompe l’obiettivo maggiormente usato … d’ora in poi le nostre foto saranno di qualità inferiore.
Dopo tante belle cose visitate un attimo di relax al Lodge/campeggio Klein Aus Vista. L’albero che ombreggia la nostra piazzuola ospita un grande nido di uccelli (sociable weavers). Dalla tenuta parte un sentiero che offre una vista mozzafiato sulle pianure desertiche del Namib, punteggiato qua e là dalle montagne che con i loro colori caldi infondono un senso di pace. Nel campeggio incontriamo una coppia sangallese, Arianne e Roland, che con un furgoncino ex-pompieri, da loro attrezzato, girano l’Africa meridionale.
Dopo la resa dei tedeschi all’esercito sudafricano nel 1915, Aus divenne un campo di concentramento dei prigionieri di guerra tedeschi che contava 1500 prigionieri e 600 guardie sudafricane. L’intraprendenza germanica ha fatto sì che i prigionieri incominciassero a costruirsi le proprie casette, producendo loro stessi i mattoni e utilizzando le scatolette di latta srotolate per fare i tetti. Costruirono anche diverse stufe a legna e trivellarono perfino dei pozzi. Il campo fu chiuso nel maggio del 1919, dopo il Trattato di Versailles.

Orange River – Fish River Canyon – Naute Dam – Keetmanshoop – Frontiera Namibia/Sudafrica Mata-Mata (Kgalagadi Transfrontier National Park)
L’Orange River, così battezzato da Bartolomeo Diaz, nasce in Lesotho; è uno dei pochi fiumi dove tutto l’anno scorre l’acqua e traccia il confine tra la Namibia e il Sudafrica prima di gettarsi nell’Atlantico. La colonnina di mercurio segna 44 gradi, è la giornata più calda che abbiamo vissuto nel nostro viaggio. Le montagne che contornano il corso del fiume sono di rara bellezza.
Arriviamo al maestoso Fish River Canyon che è lungo 160 km e raggiunge i 27 km di larghezza, mentre lo spettacolare canyon interno raggiunge la profondità di 550 m. Anche oggi il termometro passa i 40°C, ma questo non ci impedisce di ammirare il Canyon dai diversi punti panoramici.
In seguito, un’altra tappa obbligata: il Cañon Roadhouse, una guest house che richiama l’immaginario dell’americana Route 66, con auto vecchie e parti di motore integrati nell’arredamento.
Proseguiamo verso nord e ci fermiamo nel bel bacino artificiale Naute Dam.
A Keetmanshoop diamo una pulitina al nostro Nimbus e facciamo rifornimento di viveri. Per la terza volta incrociamo sulla nostra rotta in Africa, Gaby e Peter (pegasus-unterwegs.ch). Ci diamo appuntamento al Garas Rest Camp, un campeggio tutto particolare, il cui proprietario ha una vena artistica e la passione di costruire delle opere stravaganti con del materiale riciclato. Un’altra particolarità di quest’area sono le bellissime piante chiamate kokerboom (Quiver tree) con il loro tronco di un giallo caldo e i rami che sembrano braccia protese al cielo.
Con Gaby e Peter raggiungiamo Mata-Mata, e passeremo qualche giorno assieme nel Kgalagadi Transfrontier National Park.

Prima parte: dal 19 dicembre 2017 all’8 gennaio 2018. Km 1’437

Frontiera Calueque Angola/Namibia Omahenene – Ruacana Falls – Epupa Falls – Opuwo – Sesfontein – Honabi River – Twyfelfontein – Brandberg Mountain – Cratere Messum – Cape Cross

Lasciamo l’Angola passando attraverso il valico doganale di Calueque/Omahenene-Namibia, Siamo fortunati, in un’oretta riusciamo a sbrigare le pratiche doganali.
Ci troviamo nel Kaokoveld, una delle ultime grandi regioni selvagge dell’Africa australe, un territorio aspro dal clima arido, in gran parte privo di strade e attraversato solamente da piste di sabbia.

Cascate Ruacana, fiume Kunene e cascate Epupa
Le cascate Ruacana ormai si possono vedere solo in cartolina! Qui non esistono deflussi minimi, o se esistono, non è più di 1 litro all’ora. Infatti, tutta l’acqua è convogliata nella tubazione per la centrale idroelettrica Nampower.
Dopo aver fatto una tappa di un paio di giorni al Kunene Lodge, ci rimettiamo in strada per raggiungere le altre cascate; non senza fermarci al Swartbooi’s Drift per vedere il monumento che ricorda i trekker del Dorsland che passarono di qui nel viaggio verso quelle che sarebbero state le loro future fattorie in Angola. Sulla strada ci supera un gruppo di fuoristradisti sudafricani. Giunti al fiume, li vediamo intenti a ispezionare il fondale per il guado. Le immagini rendono più delle parole: il fondale era melmoso per cui anche noi rinunciamo a guadare il fiume.
Raggiungiamo il villaggio di Epupa, dove nuovamente campeggiamo a bordo fiume. Qui finalmente l’acqua c’è, ed è di un bel color caffèlatte. Alle cascate Epupa il fiume Kunene si apre a ventaglio in una vasta piana alluvionale e viene convogliato in una serie larga 500 m di canali paralleli per poi gettarsi in una cavità stretta. L’acqua che scorre non è molta ma il luogo ha il suo fascino. Cena della vigilia di Natale al ristorante del Lodge in compagnia di Ingrid e Marcel, una coppia di simpatici olandesi in vacanza che lavorano per la loro ambasciata e che al momento sono impegnati all’Aia. Il serbatoio ci dà ancora qualche grattacapo: infatti, scivola indietro e dunque ne approfittiamo per risistemarlo.

Un popolo fiero delle sue tradizioni “gli himba”
Intorno al 1870 i popoli nama iniziarono a intensificare le loro campagne di conquista delle terre verso il nord, nel tentativo di strappare le terre ben più fertili degli herero. Un gruppo di alcune migliaia, per salvarsi, attraversò il fiume Kunene, ossia, migrò in Angola, trascinandosi appresso le mandrie bovine e le greggi di capre. Arrivò, dove vivevano le tribù boscimane dei ngambwe. Gli herero si sottomisero e pregarono gli indigeni di concedere loro qualche pascolo per sopravvivere. I ngambwe accettarono e li chiamarono Ova-Himba “quelli che chiedono” in pratica i mendicanti. Avvenne così quel fenomeno che accade in genere quando un’etnia rimane isolata dal suo ceppo d’origine, mantenne intatto linguaggio e tradizioni. Isolati per circa mezzo secolo a nord del Kunene, gli Himba non subirono come gli herero l’influenza della civilizzazione.
Quando nel 1920 decisero di tornare nella loro terra, il Kaokoland in Namibia, si ritrovarono a costituire un “unicum” culturale di eccezionale importanza. Ricostruirono i loro villaggi chiamati “Kraal”, circondati da recinti di ramaglie spinose e da capanne a cupola fatte di rami di acacia intrecciati e intonacati con un impasto di fango e sterco bovino. E con lo stesso sterco ricoprirono il pavimento, stendendolo e battendolo fino a rendere il suolo soffice e uniforme come un grande tappeto. In effetti, un po’ nocivo poiché causa una malattia nota con il nome di “tosse da sterco di vacca”. In mezzo al Kraal, il recinto per gli animali.
Le donne in particolare sono note per cospargersi il corpo con una profumata mistura di ocra, burro ed erbe selvatiche che tingono la pelle di un color mattone e funge da repellente per gli insetti e da protezione solare. Questa mistura è anche spalmata sui capelli intrecciati creando un effetto veramente particolare e unico.
L’abbigliamento è molto succinto, una piccola gonnellina di pelle di capra e il seno scoperto ma indossano dei begli ornamenti fatti di uova di struzzo e pelli di animali.
Anche gli uomini indossano un gonnellino e sono a torso nudo.
L’usanza vorrebbe che le ragazze nubili portino la treccia sulla fronte, quelle sposate i capelli sulle spalle ma nei tempi moderni questa tradizione è caduta un po’ in disuso. Vestire con l’abbigliamento tradizionale è diventato una moda ma come tutte le mode è in evoluzione.
Sintesi tratta dalla rivista Meridiani No.148

Sulla strada vediamo qualche capanna degli Himba, poco dopo un assembramento di tende; ci diranno in seguito che parte della popolazione Himba della regione si è radunata costituendo questa tendopoli per il funerale di un anziano. Le persone rimangono per una settimana circa, sino al giorno della sepoltura.

Opuwo
Nella lingua Herero, Opuwo significa “la fine”, un nome appropriato per questa distesa polverosa che è però anche l’unica cittadina con dei negozi. Qui s’incontrano himba e herero negli abiti tradizionali ovunque si vada: a passeggio nelle strade o in coda al supermercato.

Gli herero
Questa etnia, parte dei popoli Bantu, emigrò dall’Africa centrale alle terre dell’odierna Namibia intorno alla metà del XVI sec. Dopo la terribile battaglia del Waterberg, l’80% della popolazione fu sterminata e i pochi rimasti si dispersero per il paese.
Il caratteristico abito delle donne Herero è un lascito dell’influenza della colonizzazione, in particolar modo dei missionari tedeschi in epoca vittoriana. Consiste in un’enorme crinolina colorata indossata sopra una serie di sottane con un grande cappello in tinta o un’acconciatura a forma di cono.

Sesfontein – Hoanib River
Sesfontein è stato fondato come avamposto militare nel 1896 dopo lo scoppio di una peste bovina e nel 1901 venne costruito il forte, che nel 1987 fu trasformato in un bel lodge. Nonostante Sesfontein deve il suo nome alle sei sorgenti che vi sgorgano, rimane un piccolo villaggio polveroso.
Dopo aver oltrepassato una zona desertica, imbocchiamo la vallata scavata dal fiume Hoanib, poco dopo c’imbattiamo in un gruppo di elefanti del deserto, che si differenziano dagli altri poiché hanno le zampe più fini, sono più piccoli e più chiari. Il capo branco, un grosso maschio, ci fa capire che non siamo i benvenuti e dopo qualche avvertimento ci carica … e noi scappiamo! Arriviamo alla Hoanib and Mudorib River Junction dove vi è una pozza artificiale e il posto di controllo. Ci rende visita il ranger di nome Nelo: lo invitiamo a bere e ascoltiamo gli interessanti aneddoti che ci racconta. Sulla via del ritorno ci fermiamo su un promontorio, dove si gode di una bella vista. Parecchi babbuini e un elefante sono passati a farci gli auguri di buon anno.
In seguito riprendiamo la bella strada panoramica verso sud.

Regione Twyfelfontein
Foresta pietrificata –
Damara living Museum – Organ Pipe (canne d’organo)

È tardo pomeriggio, la luce è bellissima. Visitiamo con la guida l’area di proprietà della comunità locale, dove si vedono i tronchi d’albero pietrificati. Gli studiosi pensano che i tronchi siano stati trasportati sul posto da un’inondazione avvenuta ca. 260 milioni di anni fa.
I damara: queste terre aride rendono la vita dura per questo popolo. Il clan che vive in quest’area ha ricostruito un villaggio tipico dei tempi passati e rispolverato le loro tradizioni. Indossano l’abbigliamento d’allora e ci mostrano pure le loro abitazioni attuali: definirle minimaliste è un aggettivo ancora troppo ottimistico.
Poi ci spostiamo a Twyfelfontein, da dove parte la Aba Haub Valley che è considerata una delle più estese gallerie di arte rupestre del continente. Nel 2007 Twyfelfontein è stata dichiarata Sito Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, il suo nome significa “fonte dubbia”. Queste belle incisioni rupestri risalgono a un periodo compreso fra 6000 anni fa e gli albori dell’Età della Pietra e furono probabilmente opera di antichi cacciatori dell’etnia san.

Brandberg Mountain – Cratere Messum – Cape Cross
Man mano che ci avviciniamo ai piedi del Brandberg (montagna bruciata), la colonnina di mercurio sale fino a 41 gradi e un bagno nella piscina del campeggio ci rivitalizza. Ne approfittiamo per fare il bucato e un po’ di pulizia e poi si parte. Pochi chilometri e siamo all’accesso della vallata del Brandberg che porta alla pittura rupestre conosciuta come “White Lady”. In questi giorni però l’accesso al sentiero di km 2.5 che porta al sito è chiuso perché nella zona si aggirano diversi leoni. In effetti, abbiamo poi appreso dal notiziario in lingua tedesca che, verso la metà di dicembre, un turista americano è sparito: pensano siano stati i leoni a tendergli un agguato.
Un po’ delusi ma contenti di non aver fatto la fine dell’americano, ripartiamo e costeggiamo i piedi della montagna in direzione del cratere. I paesaggi sono stupendi.
Il Messum Crater è formato da due cerchi concentrici di colline originate dai detriti di un vulcano collassato milioni d’anni fa nelle Goboboseb Mountains. Raggiungiamo il centro del cratere che misura più di 20 km di diametro e crea un vasto microcosmo ideale per le welwitschie e i licheni. Le welwitschie hanno radici molto fini e assorbono l’umidità portata dalla nebbia che si condensa durante la notte sulle loro larghe foglie. Queste piante possono sopravvivere oltre duemila anni.
Sulla pista che ci porta sulla costa atlantica, l’aria si fa più fresca.
Raggiungiamo Cape Cross, dove visitiamo la bellissima colonia di otarie che conta ca. 100’000 esemplari. Siamo fortunati poiché i cuccioli nascono verso la fine di novembre e l’inizio di dicembre e quindi possiamo osservare gli asili in cui le madri lasciano i loro cuccioli mentre vanno in cerca di cibo. Quando queste fanno ritorno alla colonia, riconoscono la rispettiva prole grazie a una combinazione tra la percezione olfattiva e il particolare richiamo. La visita è molto emozionante, ma il puzzo è molto forte e sgradevole.
Su questo tratto, luogo di diversi naufragi, i posti isolati in cui accamparsi sulla spiaggia non mancano.